Review from Grind On The Road

Posted by Hypnotic Dirge Records on Tuesday, June 13, 2023 Under: Italian
From: Grind On The Road
Published: June 11, 2023

Non si può certo dire che in casa Hypnotic Dirge Records abbiano lesinato sul senso di vertigine, fissando l’altezza dell’asticella delle attese nel booklet che ha accompagnato l’arrivo in redazione dell’album di esordio di un quartetto su cui evidentemente la label portoghese/canadese ha deciso di puntare carte importanti, ma, oltre ai doverosi e meritati complimenti per la qualità formale del booklet (tutt’altro che scontata, in un circuito in cui troppo spesso presentazioni e informazioni di contorno sono considerati un inutile se non fastidioso e prescindibile orpello), va detto che raramente come in questo caso l’ascolto di un disco ha tenuto assolutamente fede a promesse e annunci più o meno roboanti.

Stiamo parlando degli statunitensi Inherus e davvero non ci stupiremmo di ritrovarli tra le nomination in sede di consuntivi di fine anno, con più che concrete possibilità di aggiudicarsi un premio nella categoria “debutti da applausi”. Per la verità, è bene ricordare che ci troviamo al cospetto di musicisti tutt’altro che alle prime armi e già temprati da cimenti dove hanno ampiamente avuto modo di segnalarsi su coordinate artistiche riscontrabili ben più che in semplice filigrana nei solchi di questo Beholden, che segna l’inizio della nuova avventura. L’orizzonte sonoro della band spazia infatti in una pluralità di generi e sensibilità che vanno dalle astrazioni ambient e post-rock agli strappi black, il tutto riunito sotto il nume tutelare del doom che, senza per questo farsi prendere la mano da una troppo rigida ansia classificatoria, si segnala come tratto maggiormente distintivo della proposta. Ecco allora sullo sfondo innanzitutto il moniker Lotus Thief, che forse i devoti della cultura classica proiettata sul pentagramma ricorderanno alle prese con i testi di Lucrezio ed Eschilo rispettivamente in Rervm e Oresteia, ma, con riflessi ed esiti non meno significativi, ecco anche l’ombra lunga di quei Forlesen che, con la doppietta Hierophant Violent/Black Terrain, hanno raggiunto vette importanti nell’ammantare le trame musicali di un senso di magia e mistero. Il trait d’union tra tutte queste esperienze è innanzitutto la vocalist Beth “Bezaelith” Gladding, in grado di presidiare con pari maestria sia il versante più etereo del cantato, sia le escursioni in territori maggiormente segnati da cadenzate pesantezze doom, senza dimenticare passaggi da interprete “pura” che distilla a tratti nei solchi. Alla guida del nuovo vascello, peraltro, lady Gladding si concentra soprattutto sui riverberi più esoterici e magneticamente caldi del suo timbro vocale, riecheggiando significativamente in diverse occasioni una delle somme autorità in materia, sua maestà Rebecca Vernon. A fare da controcanto spigoloso e appuntito provvedono le incursioni di stampo black di Brian Harrigan, con il suo scream sempre accuratissimamente appostato sui tornanti cruciali dei brani ad aggiungere tocchi a volte inquieti e a volte spettrali, sempre e comunque impeccabili per incrementare il tasso caleidoscopico dell’insieme. Se le prove al microfono delle due ugole sono già una freccia significativa nell’arco del platter, il quadro generale si arricchisce ulteriormente grazie alla scelta di puntare su un doom essenziale e mai ridondante che strizza volentieri l’occhio a suggestioni settantiane (eccellente il contributo della sezione ritmica DiBlasi/Vogt, spesso protagonista di riuscite scelte sabbathiane senza mai cadere nella trappola del citazionismo di maniera), ma il vertice assoluto va cercato innanzitutto nella straordinaria capacità del quartetto di creare atmosfere dilatate, sospese e iniettate di vapori psichedelici, sintomo anche in questo caso di un rapporto fecondo coi grandi classici. Per l’applauso a scena aperta manca solo la chiamata all’appello del lavoro delle sei corde, ma anche in questo caso gli Inherus vanno oltre le più rosee aspettative, attrezzando un clamoroso arsenale di riff che pescano a piene mani nella tradizione hard rock e classic metal e dimostrando come sia ancora possibile mantenere un approccio melodico e garantire una potabilità dell’insieme (relativamente) elevata senza imbarcare necessariamente stucchevoli scorie easy listening da cassetta. L’unico ostacolo sul fronte della fruibilità dell’album potrebbe ipoteticamente materializzarsi in presenza di una tracklist oggettivamente impegnativa in termini di minutaggio dei singoli episodi, tutti a cavallo o oltre la soglia dei dieci minuti con l’eccezione della breve “Obliterated in the Face of Gods”, ma la band tiene saldissimamente nelle mani le redini delle trame dei pezzi, riuscendo sempre a modulare il carico emozionale e a ricorrere a soluzioni inattese che mantengono altissima la soglia di attenzione. Bastano così pochissime note all’opener “Forgotten Kingdom” per scaraventarci ex abrupto in un mondo oscuro e obliquo dominato da un senso di claustrofobica oppressione (è qui, in questo retrogusto, più che in una convergenza stilistica tout court, che si manifestano gli echi Amenra e Cult of Luna annunciati nel booklet), ma la seconda metà della traccia offre subito una via d’uscita, con la voce della Gladding a tracciare possibili percorsi iniziatici e un primo, magnifico riff a trascinarci lontano in modalità pifferaio di Hamelin. All’opposto, non deve ingannare l’avvio apparentemente poetico e quasi addomesticato della successiva “One More Fire”, perché i giri del motore si alzano molto presto regalando un saggio di doom che trasuda classicità, per l’occasione declinata prevalentemente secondo gli stilemi Avatarium. Siamo già a questo punto su vette qualitativamente di tutto rispetto, ma i Nostri riescono a spingersi ancora oltre con “The Dagger”, incredibile miscela di sabbia terrena e polvere di stelle che si incontrano potenziando un effetto psichedelico capace di insidiare la dittatura delle coordinate spazio/temporali in cui siamo immersi. Il ritorno alla realtà è affidato alle spire lente e avvolgenti di “Oh Brother”, ma anche in questo caso si tratta di una tregua di breve durata, travolta presto da assoli trascinanti e da tambureggianti assalti in cui si esalta il lavoro alle pelli di Andrew Vogt. Non c’è un solo attimo di respiro, invece, nella conclusiva “Lie to the Angels”, che si avvia su frequenze di chiara marca Tool, staziona a lungo su un altopiano che carica l’atmosfera di oscuri presagi e fa calare il sipario in un tripudio di distorsioni black punteggiate da nervose scariche di synth.

Potente, oscuro e visionario ma contemporaneamente ricchissimo di anfratti in cui la cura dei dettagli non è mai accademico sfoggio di bravura, dotato di radici che affondano saldamente nel fertile humus della tradizione ma allo stesso tempo coraggioso nella ricerca di nuove combinazioni sonore, Beholden è un esordio sontuoso che mette basi importanti per la carriera di una band che ha tutte le carte in regola per stupire ancora. Benvenuti, Inherus, il primo passo è da standing ovation.

Rating: 8.5/10
Reviewed by: Gabriele Zolfo

In : Italian 


Tags: "inherus" "inherus beholden" "inherus metal" "forlesen" "lotus thief" 


 Released: May 26, 2023
Genre: Doom Metal

ORDER CD
ORDER BUNDLES
DIGITAL [NAME-YOUR-PRICE]